Primo Piano

Antimercanti dello Spazio

u998E’ necessario tornare sulla diatriba tra vini naturali e vini industriali, perché le critiche e le discussioni sono le benvenute, ma agli attacchi sciocchi va risposto in modo serio.

E soprattutto i canali dell’informazione ufficiale devono essere smontati con cura.

Purtroppo sono le opinioni più stupide che spesso diventano verità, specialmente se veicolate da mezzi di informazione di gran tiratura: la maggior parte delle persone che non si occupano di vino, conoscono sicuramente più il Gambero Rosso che non i molti blog che si leggono in Rete.

Il mio sito viene letto sia da chi si occupa di vino che da altri che non ne sanno quasi nulla, così per quei pochi lettori ho necessità, come dicevo inizialmente, a spiegare la situazione.

Per fare un vino si possono usare prodotti chimici oppure no, dalla vigna alla cantina, ed anche poco prima di mettere il tappo alla bottiglia. Tutto regolare, come si diceva, al link trovate l’elenco completo autorizzato UE.

E’ possibile aggiungere solfato di ammonio per favorire lo sviluppo dei lieviti; si può chiarificare utilizzando caseina o ovoalbumina; si può aggiungere acido sorbico come conservante e stabilizzante al posto dell’anidride solforosa (e dire ad esempio: io uso pochissima solforosa…); si può aggiungere acido tartarico o acido malico per aumentare l’acidità del vino; si può aggiungere tartrato di potassio, tartrato di calcio, bicarbonato di potassio, per diminuire l’acidità del vino.

Si può aggiungere resina, ma solo di pino di Aleppo (!).

Si possono usare batteri lattici, sui vini secchi si possono usare fecce fresche provenienti da altri vini secchi, non importa quali.

E’ consentito aggiungere acido citrico per la stabilizzazione, tannino sia in forma liquida che solida per aumentare la tannicità del vino, gomma arabica per migliorare la morbidezza e acido racemico per togliere residui di calcio.

Naturalmente usando i tannini liquidi si possono creare dei sali tartarici che vanno eliminati: si usa bitartrato di potassio o tartrato di calcio.

Se il vino, nonostante tutta questa roba, ha ancora qualche difetto aromatico o gustativo, si può aggiungere solfato di rame o citrato di rame e passa la paura.

Un po’ di caramello è ammesso nei soli vini liquorosi, ma vogliamo farcelo mancare? Certo che no.

Per evitare che eventuali microbi presenti nelle uve, magari poco sane, vadano a rovinare il nostro vino, oltre alla solforosa da metter giù a chili che tanto poi è possibile far precipitare ed eliminare, si può usare il dimetildicarbonato, e poi mettiamoci delle mannoproteine che così la stabilizzazione proteica del vino è garantita.

Se poi volessimo fare un bel vino barriccato (sic…) ma non vogliamo spender su troppi soldi per delle barrique o addirittura dei bei tonneau, è possibile aggiungere delle chips, dei pezzetti di legno di quercia durante la vinificazione, l’affinamento o la fermentazione. Il sapore legnoso che sentite è, in effetti, legno. Messo a inzuppo come biscotti nel caffellatte.

Se quell’anno il vino dovesse venir fuori con troppo alcool, è possibile dealcolizzarlo, mentre se in vigna siamo stati troppo allegri nell’uso di ferro e rame, basta utilizzare, non ridete, Polivinilimidazolo-polivinilpirrolidone. Bene.

Che cosa succede, nella comunicazione?1984

Chi usa tutte o parte di queste sostanze non desidera che si sappia che qualcuno, molti direi, riescono a produrre vini anche meglio dei loro senza usare niente.

Niente, tranne che il loro lavoro in vigna, un uso accorto di rame e ferro sulle piante, la conoscenza delle loro uve e del comportamento stagionale già in pianta, la conoscenza del proprio terreno e della propria cantina.

Nient’altro che questo.

Il vino fatto con tutte le sostanze ammesse e, per legge, innocue all’organismo umano (innocue per legge, ribadisco, un po’ come si fece negli anni ’80 per la diossina ricordate?), molte volte è un buon vino. Certo che, togli di qui, togli di là, aggiungi sopra, aumenta sotto, la differenza tra una annata e l’altra, tra una parcella di vigna e l’altra, vanno a farsi benedire.

Gli è stato tolto tutto, a quel vino, per poi aggiungere e modificare e migliorare ed aggiustare, in modo da andare incontro al gusto del consumatore.

Gusto che, naturalmente, viene abilmente indirizzato da riviste come, tra le altre, il Gambero Rosso: si agisce quindi in due fronti differenti.

Il primo è ‘educare’ il consumatore a bere vini tutti uguali, specialmente perché rispecchiano la mano dell’apprendista stregone che ha studiato da enologo (mi rifiuto, per rispetto degli enologi, di considerarlo tale), ed è come se tutti noi ci facessimo arredare casa da IKEA, cucine, camere da letto e sale da pranzo tutte disperatamente uguali. Solo qualche quadro a dare un po’ di differenza, la forma del portachiavi ed il colore della carta igienica.

Il secondo è dargli addosso a chi ereticamente cerca di fare vini in modo diverso da quanto deciso dai venditori di fosfati e dalle aziende farmaceutiche, a chi li propone, li supporta, li sponsorizza, li vende.

Vietato far sapere che si può fare vino anche in modo diverso, ossia in modo naturale, accompagnando il mosto verso la sua naturale evoluzione in vino, senza dover aggiungere niente di chimico, senza nemmeno, figuratevi, aggiungere vitigni migliorativi magari vietati dalla DOCG, salvo poi litigare con chi vorrebbe mantenere la tradizione.

logoE quando praticamente tutti i vignaioli naturali riuniti nelle varie associazioni inviano una lettera di risposta al Gambero Rosso, cercando di spiegare il proprio punto di vista, spiegando perché l’estensore dell’articolo sta sbagliando e sta dicendo un mucchio di castronerie, quando accade tutto questo la famosa rivista nazionale cestina direttamente la lettera di risposta, e tanto chi se ne frega.

Così, i miei lettori se vogliono leggersela questa risposta, devono per forza farlo in Rete, non compreranno la rivista cartacea o forse non la compreranno mai più, e quei soldi li investiranno in una buona bottiglia di vino naturale.

Nota: Il titolo è preso dal libro che vedete anche in figura, Gli Antimercanti dello Spazio, romanzo di fantascienza del 1984 di Frederick Pohl e che è il seguito del più famoso I mercanti dello spazio del 1953, che Pohl scrisse insieme a C.M.Kornbluth. Leggeteli entrambi, sono una pietra miliare per capire come funziona in realtà l’informazione e la formazione del consenso. Leggete anche Chomsky, naturalmente, ma Pohl è più divertente. 

Taggato

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.